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L’Italiano a scuola Apprendere ad apprendere!  di Maria Gabriella de Judicibus

L’Italiano a scuola  Apprendere ad apprendere!

di Maria Gabriella de Judicibus

 

Le quattro abilità di base e la Riforma

La riforma scolastica    riaccende l’interesse dell’opinione pubblica,  di docenti e studenti ma anche  delle famiglie che accompagnano i processi educativi di crescita culturale dei propri figli, sui nuovi scenari formativi che si prospettano per il futuro delle nuove generazioni, nell’ottica di un processo di insegnamento/apprendimento sempre più pragmatico e finalizzato allo sviluppo di competenze spendibili.

 Già nell’ambito dei cosiddetti “Nuovi Programmi del 1979” , pietra miliare nell’ambito della scuola secondaria di primo grado, la “scuola per tutti e per ciascuno” frequentata da adolescenti dagli 11 ai 14 anni, vede l’insegnamento teorico  dell’Italiano diventare educazione linguistica o meglio educazione alle quattro abilità[1] , al fine di consentire di apprendere ad apprendere attraverso l’utilizzo funzionale della lingua madre. La parola-chiave che permette di leggere i Programmi in profondità è appunto abilità: l’educazione linguistica promuove le abilità linguistiche, vale a dire il fare con e per la lingua.

 

Nei Programmi didattici per la scuola elementare, riformata nel 1985, il discorso delle abilità si innesta in un quadro di riferimento sistemico che trasforma radicalmente la scuola di base. Per la prima volta si abbinano le abilità con termini quali competenza  come la  <buona competenza di lingua scritta e orale>,  e capacità  come la   o < saper scrivere>. Non più, dunque, nozioni sterili e fini a se stesse ma un sapere che  diviene saper fare.  Per la concretizzazione pragmatica degli assunti teorici, i Programmi lasciano ampio margine alla libertà didattica dell’insegnante che è esperto della disciplina, a contatto con i bisogni cognitivi e comunicativi dei propri allievi e che diviene , pertanto, meglio di chiunque altro, l’esperto  in grado di tracciare obiettivi puntuali e definiti, in coerenza con la rete di insegnamenti costituita dal consiglio di classe, al fine di programmare singoli percorsi in relazione alle variabili soggetto-classe-situazione culturale e ambientale. L’ approccio comunicativo che,  nell’ultimo ventennio, sull’onda della glottodidattica d’area anglosassone, ha modificato notevolmente anche la didattica della lingua italiana, ha rivoluzionato

 l' impostazione del lavoro dell’insegnante di Italiano, trasformandolo in un ricercatore che non può limitarsi a correggere e sottolineare con la matita rossa e blu ( ormai in disuso) il cosiddetto errore ma da esso deve partire per avviare, insieme al discente, un percorso di riflessione che trasformi la devianza inconsapevole in un problem solving cognitivo, riportando a consapevolezza le strutture profonde che consentono di generare frasi, testi, discorsi.  Insegnare a comprendere ed usare lo strumento linguistico in modo funzionale ai propri bisogni personali, sociali, professionali, non può consistere nel far memorizzare acriticamente nozioni, riducendo la lingua ad un mero insieme di regole da applicare in  esercizi decontestualizzati e dunque immotivati. Lo studente è in possesso di un proprio sistema linguistico globale con possibilità di sviluppare  la funzione metalinguistica che consiste proprio nella capacità innata in ciascun essere umano di esercitare la riflessione sulla lingua, propria ed altrui, parlata e scritta,  migliorando sempre di più la propria competenza d’uso.  Gli Istituti di Istruzione Secondaria  affrontano, nell’ottica della verticalizzazione degli apprendimenti, una normativa fortemente innovatrice sul piano progettuale basata su concetti-chiave quali :formazione / apprendimento / valutazione per competenze. Nel quadro culturale degli Assi sui quali il curriculum della scuola media si snoda, l’asse dei linguaggi richiama la competenza chiave di cittadinanza[3] relativa al comunicare,  potenziando e specificando, attraverso il concetto pragmatico di competenza, ciascuna delle abilità di base.  Già nel documento elaborato dalla commissione di esperti nominata dal Ministero di De Mauro nel 2001, frutto del lavoro di una Commissione di 272 esperti, dell’Accademia e delle Associazioni professionali, si puntava sul concetto di competenza che viene definita dal gruppo di lavoro n. 3, coordinato da Francesco Sabatini come “ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità), sulla base di un sapere (conoscenze) per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre (nuove) conoscenze (le competenze possono, poi, essere di base/di cittadinanza e specifiche di una disciplina e/o trasversali-riferite a più discipline)”. Le competenze vengono declinate in un curricolo e, per la fine di ogni segmento scolastico, vengono indicati i profili di uscita, quali risultati attesi in rapporto appunto alle competenze maturate dagli allievi. Ad esempio, il profilo di uscita relativo alle competenze degli alunni conclusive della scuola di base prevede uno studente che “comprende e produce testi orali di varia natura e provenienza, in situazioni e per diversi scopi, legati all’esperienza personale e ai rapporti interpersonali. In situazioni note è in grado di interagire in modo efficace con persone conosciute, per scopi diversi”. La novità dell’apprendimento per competenze è legata alla filosofia del sapere che trasformandosi in saper fare può essere valutabile e controllabile  in un’ottica della formazione del futuro cittadino-lavoratore di  continuità verticale tra i gradi di istruzione .  La normativa di base  rammenta che l’individuazione delle competenze chiave[4] al termine del percorso di istruzione obbligatoria dovrà avere dei riflessi sulla definizione dei percorsi di apprendimento già a partire dal primo ciclo per quanto concerne acquisizione e consolidamento delle competenze alfabetiche di base , literacy e numeracy  traguardo raggiungibile solo attraverso  l’ interazione forte tra i diversi segmenti,  con consuetudine di progetti concordati di continuità fra scuola primaria, secondaria inferiore e superiori, percorsi post-diploma.  

Asse dei linguaggi e competenza comunicativa

 Al termine di ogni segmento formativo, la certificazione delle competenze si basa sull’osservazione delle prestazioni dell’allievo relativamente alle competenze indicate e dunque agli obiettivi disciplinari ad esse riconducibili. Per quanto concerne la competenza chiave legata alla comunicazione, sicuramente l’asse di riferimento delle discipline afferenti ad essa è l’asse dei linguaggi

[5]. Il sistema d’istruzione di base, infatti, deve garantire a ciascun minore e futuro cittadino il controllo della competenza linguistica sia attiva che passiva, scritta e orale, nella madrelingua  o lingua del paese ospitante, se diversa dalla propria, funzionale a tutti gli altri apprendimenti veicolati attraverso essa in Italia e funzionale ad un soddisfacente inserimento nel contesto sociale di riferimento. L’asse dei linguaggi comprende tutte le diverse discipline che, nell’arco dell’istruzione fino a 16 anni, sono preordinate alla comunicazione ed espressione verbale al fine di pervenire al controllo consapevole dell’Italiano e  attraverso l’Italiano,  al controllo di una o più lingue straniere,  delle principali modalità espressive ed artistiche del nostro tempo, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che consentono di risolvere problemi di studio, di vita e di lavoro e di soddisfare bisogni informativi e culturali. Premessa indispensabile all’esercizio consapevole e critico di ogni altra forma di comunicazione umana è pertanto la padronanza sicura della lingua italiana, obiettivo da perseguirsi in tutti i contesti di apprendimento, indipendentemente dal fatto che in determinate “ore” se ne curi in modo esplicito, diretto e strutturato l’acquisizione e il consolidamento.  

Indicare come obiettivo culturale fondamentale il possesso sicuro della lingua italiana, al termine dell’istruzione obbligatoria, significa porre al centro degli apprendimenti di base le conoscenze e le abilità necessarie alla costruzione e all’interpretazione di testi, orali e scritti, sintatticamente coesi, semanticamente coerenti, pragmaticamente efficaci, tali da garantire il controllo attivo e passivo di una pluralità di situazioni comunicative che richiedono l’uso del linguaggio per scopi diversi: per informarsi e intrattenere rapporti interpersonali e sociali, per fruire di usi espressivi e letterari, per acquisire e rielaborare nuove conoscenze e modalità interpretative della realtà. Tali principi innovativi sono ribaditi nelle varie proposte che, in ambito legislativo, si sono succedute negli ultimi anni: dalla Riforma Moratti che ribadisce che la scuola deve organizzare per lo studente attività educative e didattiche che lo aiutino a trasformare in competenze personali le [6]conoscenze e le abilità, alle indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione (Fioroni, 2007) fino alla cosidetta "buona scuola" attuale in cui, con parole diverse ma con le stesse finalità,  si riafferma che l’educazione linguistica è educazione al linguaggio e alla lingua poichè la lingua è strumento del pensiero, mezzo per stabilire un rapporto sociale, veicolo attraverso cui si esprime l’esperienza razionale e affettiva dell’individuo, espressione di quanto l’uomo sente ed esprime (specie con la poesia), oggetto culturale. In quest’ottica appare evidente come l’italiano sia problema di tutti gli insegnanti, e non solo di quello di lettere, in una società multiculturale e legata a tradizioni locali connotate ancora da dialettofonia forte per le quali l’italiano è ‘L2’: ciò significa che la scuola ha il dovere di valorizzare i dialetti o le altre lingue possedute dai bambini al loro ingresso nella scuola, sviluppando attraverso la riflessione sulla lingua e l’educazione linguistica le quattro abilità preposte all’ascolto, al parlato, alla lettura ed alla scrittura in un’ottica funzionale allo sviluppo armonioso e positivo della persona e della cittadinanza attiva.  

Errare humanum est…

 Spesso, a scuola, non si considera l’errore come quello che realmente rappresenta: la bussola del nostro metodo d’insegnamento. Questo emerge chiaramente dai risultati delle indagini internazionali nell’ambito delle tre grandi aree ritenute essenziali per l’accesso ai valori della cittadinanza attiva: l’area della lettura, l’area matematica e l’area scientifica, preposte allo sviluppo di capacità o competenze di tipo trasversale strettamente connesse rispettivamente all’area della comunicazione in lingua storico-naturale ( leggere per apprendere), della capacità di problematizzare ed astrarre ( problem solving) e della capacità di osservare, categorizzare, sperimentare, applicare.  Le abilità logico-linguistiche  sono trasversali a tutte  le discipline  e vanno promosse e attivate consapevolmente nell’esperienza di apprendimento/insegnamento e nella comunicazione quotidiana. Si comprende allora che se al docente di lettere può essere attribuito il compito di lavorare in modo sistematico sulle abilità di lettura e scrittura, ascolto e parlato e all’insegnante di Matematica quello di insegnare ad esempio, i numeri naturali e le quattro operazioni, spetta a ciascuno degli insegnanti curare la produzione e la comprensione dei testi delle varie discipline, nella diversità dei registri e del lessico corrispondenti ad una diversa modalità di rappresentare la realtà. I quesiti dell’indagine internazionale OCSE PISA[7] sulla literacy di lettura, matematica e scienze, distinguono i testi continui dai testi non continui., rappresentati, questi ultimi, da schemi, tabelle, mappe.La definizione di reading literacy PISA nasce, infatti, dai cambiamenti della società, dell’economia e della cultura, in un contesto di lifelong learning, riconoscendo nel testo la rappresentazione linguistica di processi cognitivi. La reading literacy , diviene in quest’ottica capacità trasversale di base che prevede  la comprensione e l’utilizzazione di testi scritti e la riflessione su di essi al fine di raggiungere i propri obiettivi, sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e svolgere un ruolo attivo nella società.  Vale la pena di ricordare che, in base ai dati del 2006, per il campione di quindicenni scolarizzati bersaglio dell’indagine OCSE per Literacy Lettura, il 35% nel Sud non ha superato il Livello 1 mentre in Finlandia – il Paese con i risultati migliori – solo il 5% degli studenti non raggiunge il Livello 1 (1%) o si ferma ad esso (4%) e considerando il Livello 1 come il livello più basso della Literacy che prevede pienamente sufficiente solo una competenza pari al Livello 3, comprendiamo come la situazione dei nostri ragazzi sia a dir poco insoddisfacente.  Insegnare a “leggere” il libro di testo, a interrogarlo, a manipolarlo, a prendere appunti e produrre altri tipi di scrittura funzionale allo studio, a partecipare attivamente alla lezione e alla interazione con la classe, significa dare allo studente gli strumenti per muoversi in modo consapevole nella realtà scolastica, controllando il come e il perché dell’apprendimento.  Significa sollecitare la metacognizione e, sul piano affettivo, rendere più accogliente l’esperienza scolastica, tante volte percepita come indecifrabile ed estranea, perciò ostica.  

Le parole non servono soltanto per parlare con gli altri, ma anche e soprattutto per pensare,  ragionare e creare  poiché individuano idee, distinguono sfumature concettuali, concretizzano processi cognitivi.

 



 

 




[1] il termine Abilità esprime la capacità di eseguire una sequenza di azioni in modo rapido e corretto

  

il termine Automatizzazione esprime la stabilizzazione di un processo automatico caratterizzato da un adeguato livello di velocità e accuratezza tale processo è realizzato in modo inconsapevole richiede un minimo impegno attentivo, è difficile da ignorare, sopprimere, influenzare    

[2] La Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art 1 comma 622 ha innalzato l'obbligo di istruzione a dieci anni. Nel documento tecnico, allegato al Decreto del Ministro della Pubblica Istruzione del 22 agosto 2007, n. 139, sono indicate le competenze chiave di cittadinanza attese al termine dell'istruzione obbligatoria.
L’art. 64, comma 4bis, della Legge 6.8.2008 n. 133 consente di assolvere l'obbligo di istruzione, oltre che nei percorsi scolastici, anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al Capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e - fino alla completa messa a regime delle disposizioni contenute nel predetto decreto - anche nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui all’Accordo del 19.06.2003 realizzati da strutture formative accreditate ai sensi del Decreto Ministeriale 29 novembre 2007.

[3] Le competenze di cittadinanza attiva di indicazione ministeriale in ottemperanza alle direttive del Consiglio di Lisbona sono trasversali e basilari per ogni altro ulteriore apprendimento e sono:

 

1-Individuare collegamenti e relazioni

 

2-Acquisire e interpretare informazioni

 

3-Risolvere problemi

 

4-Comunicare

 

5-Collaborare e partecipare

 

6-Agire in modo autonomo e responsabile

  


[4] Ogni competenza chiave può essere considerata una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.

    

[5] Nello specifico contesto italiano, stante la pluralità delle filiere che caratterizzano il secondo ciclo d’istruzione e l’obiettivo del conseguimento di una formazione unitaria dei giovani in uscita dal nuovo obbligo, la Commissione europea mette in evidenza che l’acquisizione delle competenze chiave per la cittadinanza attiva si realizza innanzitutto puntando sul rafforzamento di quattro assi culturali strategici: l’asse dei linguaggi; l’asse matematico; l’asse scientifico; l’asse storico-sociale. 

    

[6] Il primo ciclo d’istruzione va dalla scuola primaria alla fine della scuola secondaria di I grado ( n.d.c.)

    

[7] PISA", acronimo di "Programme for International Student Assessment", indica l’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), con l’obiettivo di verificare se i quindicenni scolarizzati abbiano acquisito competenze trasversali e di base essenziali non solo per il successo scolastico ma ai fini della cittadinanza attiva e dell’autopromozione di sè, in tutto l’arco della vita.
La ricerca Ocse-Pisa,a cadenza triennale, prevede la somministrazione agli studenti del biennio, nel Marzo 2009, di prove relative alle competenze funzionali ai seguenti ambiti: Italiano, Matematica, Scienze e Fisica.
La Direzione Generale per gli Affari Internazionali del M.I.U.R., in collaborazione con INVALSI e con gli Uffici Scolastici Regionali interessati, ha organizzato un piano di “Informazione e sensibilizzazione sull’indagine OCSE-PISA e altre ricerche internazionali”, rivolto a tutti i docenti di Italiano, Matematica e Scienze del biennio della Scuola Secondaria di secondo grado delle regioni dell’Obiettivo Convergenza.
Il piano di Formazione è realizzato nell’ambito del Programma Operativo Nazionale “Competenze per lo sviluppo” – FSE, approvato con decisione della Commissione Europea n. 5483 del 7/11/2007, Asse I – Capitale Umano – Azione B.3. 

 

Maria Gabriella de Judicibus, è inserita nell’Albo Formatori INVALSI per la Literacy di Lettura.

   



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