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   La valorizzazione di tutte le risorse cognitive e relazionali di un soggetto in formazione è affidata alla sinergia d’intervento delle istituzioni, prima fra tutte la famiglia, seguita dalla scuola.  A scuola, i soggetti in formazione trascorrono tre quarti del proprio tempo e, in mancanza di una famiglia dai valori saldi o di luoghi aggregativi che trasmettano certezze, spesso, solo a scuola,  possono trovare quell’esemplarità e quelle indicazioni culturali in grado di consentire loro di orientare consapevolmente le proprie scelte di vita. I dati relativi alle cause esogene ed endogene di dispersione scolastica ancora troppo elevata nelle regioni meridionali, rilevano che tra i giovani, emerge soprattutto un concreto bisogno di relazione e  comunicazione che trova attualmente riferimento nelle strade o in spazi liberi dove si creano aggregazioni informali spesso caratterizzate da modelli educativi devianti, data la mancanza di strutture in grado di offrire alternative valide in termini di proposte che favoriscano e promuovano una corretta socializzazione nell’ambito della crescita culturale personale.[1]  Lo stato di “abbandono affettivo ed educativo” nel quale spesso i giovanissimi si trovano, impone a tutti noi educatori di riflettere sullo stretto legame tra “dispersione scolastica” e disagio giovanile e di pensare attivamente a come poter promuovere nei singoli soggetti quel “successo formativo” che non consiste solo nel traguardo scolastico in termini di profitto disciplinare ma nella possibilità di “sentirsi felice” nel tracciare, con successo, il proprio personale progetto di vita.[2] Il numero dei drop-out, ovvero dei giovani che non conseguono alcun titolo di studio dopo la licenza media, è molto elevato ed è spesso accompagnato da fenomeni di microdelinquenza, bullismo, tossicodipendenza. Ciò che risulta importante notare è che prima dell’abbandono vero e proprio, la scuola segnala una serie oramai abbastanza scontata di “campanelli d’allarme”: assenze reiterate, ritardi frequenti e spesso mal giustificati, verifiche di profitto con esito negativo, atteggiamenti di insofferenza e/o sfida che  costituiscono una casistica di indizi preoccupanti per osservatori competenti, in grado di comprendere come tra il momento dell’ingresso dell’allievo a scuola e quello del suo definitivo rifiuto delle istituzioni, trovino posto spazi preposti alla decisionalità istituzionale inutilizzati dagli attori del processo educativo.[3] L’abbandono scolastico è spesso l’equivalente di una sconfitta in termini di autostima: non è, infatti, una scelta decisionale volontaria, effettuata per inaugurare nuovi traguardi ma l’epilogo di un processo di regressione, in cui dolorosi insuccessi, corredati da crescente perdita di fiducia nelle istituzioni e in se stessi, conducono alla convinzione di non essere in grado di orientare la propria esistenza. Abbandonare è un “non scegliere”, un rifiutare di proporsi attivamente in società.[4] Per questi motivi è fondamentale che l’adolescente possa contare sull’istituzione scolastica tanto più quando non può contare sull’istituzione familiare o sul contesto sociale d’appartenenza. Gli adolescenti cosiddetti “difficili” si presentano chiusi ed introversi[5] o, al contrario, iperattivi, irrispettosi di orari e regolamenti; incapaci di essere propositivi, demotivati e con poca fiducia nelle proprie capacità o nel contesto sociale in cui si inscrive il personale progetto di vita, spesso protesi ad attirare l’attenzione su di sé attraverso comportamenti irregolari salvo poi dimostrarsi  incostanti e superficiali nelle prestazioni. I problemi connessi all’area strettamente cognitiva si rivelano, poi, con “forte deprivazione linguistica e conseguenti difficoltà scolastiche derivanti dall’incapacità di utilizzare strumentalmente la lingua standard nelle abilità di studio e poca abitudine al pensiero astratto con conseguente difficoltà di concettualizzazione e di memorizzazione teorica”.[6] Le problematiche inerenti all’area psico-relazionale, in stretta connessione con quelle già enunciate, spesso presentano picchi individuali preoccupanti per manifestazioni di disagio così forte da interferire irrimediabilmente con il clima del gruppo classe, generando disagio diffuso e mettendo gli operatori scolastici in situazioni problematiche, a volte disperate, di crisi profonda. Le tre problematiche evidenziate sono  interconnesse al punto che l’una può generare l’altra e/o fungere da cassa di risonanza [7] e, pertanto, devono essere affrontate con un  approccio integrato perché solo nell’integrazione delle risorse, è possibile rintracciare soluzioni complesse per problemi complessi. La povertà culturale del back-ground dei soggetti in formazione con situazioni di profondo degrado sociale e/o economico e un’offerta di lavoro dequalificato, sommerso o addirittura illecito, devono essere affrontati con un’approccio di tipo sistemico in cui la comunicazione tra istituzioni sia improntata alla formulazione di un “cerchio magico” capace di restaurare l’eticità dei rapporti interpersonali, sociali e professionali, nel rispetto dei valori più profondi dell’esistenza umana. La scuola e le altre istituzioni che producono “educazione”,  [8] devono riappropriarsi della vocazione di leadership sociali, ponendosi al centro dell’evoluzione del sistema socio-spaziale del territorio in cui si inscrivono, interlocutori privilegiati di tutti gli altri soggetti in materia di cultura e progresso.  Il modello di didattica che  noi auspichiamo, pertanto, è frutto di ricerca teorica e di esperienza scolastica, in quanto riteniamo che la didattica in quanto disciplina metacognitiva rivolta allo studio di processi in atto, si fondi sull’apporto teorico offerto dalla ricerca epistemologica disciplinare, sull’approfondimento pedagogico, in quanto si interagisce con soggetti  in situazione di apprendimento e soprattutto sulla fondamentale considerazione che l’oggetto di detta didattica , non può essere asetticamente considerato senza passare per lo studio e l’analisi della sua strutturazione in fieri, ovvero di quei processi di formalizzazione che è possibile analizzare a partire dalle performances concrete, la cosiddetta  “produzione”  di ciascun campo specifico disciplinare, in quanto essi  consentono la formalizzazione “linguistica” del potenziale semantico cognitivo di ciascuno. Personalmente, ho coprogettato e coordinato numerosi percorsi integrati finalizzati al recupero di drop-out : percorsi biennali di “obbligo formativo” realizzati con diverse agenzie di formazione e percorsi triennali sperimentali affidati dall’USR Puglia all’IISS “A. De Pace” di Lecce e ritengo sia possibile fare un primo bilancio dell’esperienza che si è rivelata sicuramente positiva seppur difficile e complessa. I corsisti sono stati orientati sempre, attraverso colloqui individualizzati e strumenti di monitoraggio e controllo dei processi, messi a punto ad hoc dall’èquipe di formatori composta da esperti nel campo  del tutoring. Molto importante si è rivelata, infatti, questa azione di continuo rinforzo, sollecitazione, recupero, potenziamento che ha permesso di personalizzare i percorsi e di far sentire ciascun corsista protagonista del processo formativo. Pertanto, riteniamo di dover sottolineare come sia di prioritaria importanza, nel campo del successo formativo e della rimotivazione cognitiva ed affettiva , il ricorso a figure tutoriali ( più di una) con competenze e sfere d’intervento diverse e complementari da affiancare ai docenti disciplinari ed agli esperti della formazione professionale. Il soggetto in difficoltà emotiva o cognitiva deve, infatti, poter usufruire di una figura che lo affianchi e lo aiuti a superare la difficoltà tempestivamente, prima, cioè, che essa si sommi ad altre motivazioni di disagio e divenga macigno insormontabile e insostenibile che conduce inevitabilmente all’abbandono. Poichè esistono difficoltà di tipo diverso, come abbiamo visto precedentemente, riconducibili a tre macrotipi principali, tre devono risultare le aree di intervento su cui collocare le figure di supporto all’azione formativa: l’area cognitiva disciplinare che richiede l’intervento di  disciplinaristi specializzati nel recupero e rinforzo; l’area affettivo-relazionale che necessita di esperti educatori in grado di ascoltare e interagire costruttivamente con il soggetto contribuendo all’esplicitazione di quelle competenze trasversali che richiedono proprio la capacità di interagire nel gruppo e di condurre a termine il compito assegnato; l’area psico-emotiva che richiede l’intervento di un esperto delle dinamiche psicologiche legate alle varie fasi e situazioni che il soggetto in crescita deve affrontare. Queste figure tutoriali non sostituiscono ma affiancano e supportano le figure istituzionali tradizionali dei percorsi formativi fin qui condotti, ovvero i docenti delle varie discipline, gli esperti della formazione professionale, il coordinatore del consiglio di classe integrato, il tutor aziendale. Oggi più che mai, in assenza di una famiglia tradizionale che possa seguire costantemente il processo di crescita del minore ( anche nelle “migliori” famiglie, i ritmi di vita comportano comunque forme diverse di “assenza” affettiva), a scuola è necessario che il bambino, l’adolescente, il giovane possano cercare e trovare quella forma tutoriale di confronto e conforto necessaria per affrontare il processo di crescita con serenità e responsabilità. So che è sempre più difficile fondere competenza disciplinare e perizia pedagogica in classi numerose e scuole dalle strutture non sempre adeguate ai bisogni di un’utenza sempre più variegata e multietnica ma non dobbiamo dimenticare mai che la vera democrazia si costruisce attraverso l’integrazione, la tolleranza, la cooperazione e soprattutto che spesso i nostri allievi, oltre alla scuola  non hanno nient’altro. 


   [1] Mori F.Nessun bambino nasce cattivo  Bollati-Boringhieri 2001   [2] Pisano O. Per la costruzione di un sistema di ricerca educativa F. Angeli 2002   [3] Maggiolini A. Riva E. Adolescenti trasgressivi. Le azioni devianti e le risposte degli adulti F. Angeli Milano 1999   [4] Arielli E. Scotto G. I conflitti. Introduzione ad una teoria generale Bruno Mondadori Milano 1998   [5] Titone R. Problemi di psicopedagogia del linguaggio Guerra- Perugia 1999   [6] Gardner H. Sapere per comprendere Feltrinelli Milano 1999   [7] Greenspan S. I. L’intelligenza del cuore. Le emozioni e lo sviluppo della mente Milano, Mondadori 1997   [8] Golstein A. P. Glick B. Stop all’aggressività Trento Erikson, 1990   

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