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Nel ricordo di Luigi Pappacoda e in vista della festa dei santi Oronzo, Giusto e Fortunato

 7 Agosto 2023 Tra pochi giorni, torneremo a festeggiare solennemente il nostro patrono: S.Oronzo e, con lui i Santi Giusto e Fortunato. Sicchè non potevo esimermi dal ricordare la figura dell’alto prelato che favorì tutto questo. Sono felice di poter comunicare ai nostri concittadini che è in atto un protocollo d’intesa tra la pro loco cittadina e la pro loco del paese natìo di Luigi Pappacoda. Il protocollo sancisce la possibilità di promuovere una figura storica  che tanto ha operato nella città di Lecce ma che mai è stata dimenticato dalla sua cittadina natale: Pisciotta, in provincia di Salerno. Per dovere di cronaca, sento la necessità di effettuare un breve excursus della sua vita, forse non nota ai più giovani. Luigi nasce, come già detto, a Pisciotta, in provincia di Salerno, nel Cilento, il 20 settembre 1595, figlio primogenito del marchese Cesare Pappacoda e di Aurelia Della Marra. All’età di 24 anni si reca a Roma per intraprendere il percorso curiale che interrompe con la nomina a vescovo di Capaccio. All’età di 44 anni, si trasferisce a Lecce, una «città posta geograficamente all’altro capo del Regno» che egli ama profondamente e di cui governa la diocesi per 31 anni, sino al 17 dicembre 1670, giorno di mercoledì, quando, all’età di 75 anni muore, così ricordato dall’ingegnere leccese Giuseppe Cino nelle sue “Memorie” (1656-1719) «amato e temuto». E in realtà così si rivelò, forte e tenace, anche perché la sede episcopale appariva, all’epoca,  caratterizzata dalla persistente disordinata pletoricità di un clero secolare su molti versanti non disciplinato. Grazie alla sua mano ferma,  la città, già riconosciuta come seconda capitale del Regno di Napoli,  potè pretendere il riconoscimento di città-chiesa. La sua presenza fu importante sia nel 1647 nel sedare insieme con il clero i tumulti popolari, sia  quando la sua energica politica prevalse sul complesso mondo delle istituzioni regolari cittadine che facevano registrare quasi 500 unità tra frati e monaci tra cui primeggiavano e si contrapponevano le congregazioni dei Gesuiti e dei Teatini sostenuti da alcune delle più influenti famiglie aristocratiche della città. Agli  inizi del Seicento, centro dello scontro tra le due famiglie religiose era stata la figura di Santa Irene, il cui culto, sostenuto dai Teatini, era stato messo in dubbio da alcuni padri gesuiti provocando lo scontro che si prolungò per tutta la metà del Seicento, risolvendosi grazie alla terribile pestilenza del 1656 che risparmiò Lecce, secondo i fedeli,  grazie proprio al miracolo compiuto dall’antico protomartire Oronzo sulla base del processo avviato da Pappacoda per formalizzare il patronato con decreto romano, consacrando accanto a Oronzo la presenza di Giusto e di Fortunato. Nel 1699, l’affermazione della triade sacra di Oronzo, Giusto e Fortunato programmata e voluta da Pappacoda pose fine alle aspre dispute che avevano contrapposto gesuiti e teatini. Inoltre,  il volto barocco della città si avvalse grazie al vescovo,  dell’opera di Giuseppe Zimbalo, detto lo Zingarello, suo tecnico di fiducia, attivo dal 1646 fino alla morte avvenuta nel 1710. «Paesana e non straniera», la singolare «persona» dell’architetto e scultore, fu incaricata, nel 1659, del progetto di rifacimento della cattedrale,  dell’innalzamento dell’adiacente ma distaccato campanile, del restauro e ampliamento dell’episcopio, della decorazione della cattedrale con pulpito, altari e tele. Nel trentennio di governo della diocesi Pappacoda vigilò e intervenne anche su ogni possibile settore culturale da cui potesse discendere un impatto sulla religiosità dei fedeli. Detentore della più grande biblioteca cittadina del tempo, consistente in circa 660 volumi, fu protettore della locale Accademia dei Trasformati e facendo della musica una vera e propria Ancilla Episcopi, utilizzò tutte le risorse dell’arte musicale favorendo l’impiego preferenziale di musicisti secolari o regolari, potenziando il patrimonio organario nella diocesi e intensificando  l’uso di musiche sacre. Ma soprattutto alla diffusione del culto di Sant’Oronzo è legata la figura del Lupiensium Pontifex , sepolto nella cattedrale di Lecce, proprio presso l'altare del nostro Santo Patrono. Egli, il 25 agosto 1656,  «sacrò e battezzò» Porta Rudiae con il nome di S. Oronzo, facendo diventare, di fatto, le mura urbiche delle «mura spirituali» che definivano, prima ancora di difendere, la Lecce Sacra, secondo la denominazione dell’Infantino (1634). Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Archivio Concistoriale, 33 A2, cc. 465-480; Dataria apostolica, 14, cc. 43-60; Lecce, Biblioteca provinciale, Mss., 37: N. Fatalò, Serie de’ vescovi di Lecce, cc. 165-169; Lettera pastorale di Monsignore L. P. vescovo di Lecce alla sua città e diocesi, Lecce 1656 (poi in C. Bozzi, I primi Martiri di Lecce Giusto, Oronzio e Fortunato, Lecce 1714, pp. 67-73); G. Volpi, Cronologia de’ vescovi pestani ora detti di Capaccio, Napoli 1752, pp. 161-163; U. De Blasi, Il Sinodo Diocesano di Mons. P., in Rivista diocesana di Lecce, XX (1963), pp. 177-179; L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Lecce 1964, passim; P. De Leo, Mons. L. P. nel terzo centenario della morte, in Rivista diocesana di Lecce, XXVII (1970), pp. 350-354; Documenti di storia ecclesiastica inseriti nel “Libro Rosso di Lecce”, a cura di M. Paone, in Contributi alla storia della chiesa di Lecce, Galatina 1981, pp. 119-143; M. Fagiolo - V. Cazzato, Lecce, Bari 1986, pp. 94-117; M.A Visceglia, Territorio feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed età moderna, Napoli 1988, pp. 291-293; A. Laporta, “Le rivelazioni” di un mistico calabrese nella Lecce di metà Seicento, in Società, congiunture demografiche e religiosità in Terra d’Otranto nel XVII secolo, a cura di B. Pellegrino - M. Spedicato, Galatina 1990, pp. 441-456; M. Cazzato, Tempore pestis. Modi e morbi barocchi, ibid., pp. 308-360; M. Spedicato, Episcopato e processi di tridentinizzazione a Lecce nel XVII secolo, ibid., pp. 229–276; M. Paone, Lecce al tempo dei vescovi Scipione Spina e L. P., in La lupa sotto il leccio, Galatina 1995, pp. 170-206; M. Spedicato, La città e la chiesa, in Storia di Lecce dagli Spagnoli all’Unità, a cura di B. Pellegrino, Roma-Bari 1995, pp. 130-136, 146-149; L. Cosi, La musica nella “piccola Napoli”, ibid., pp. 671-710; M. Cazzato, La nascita di una città devota: Lecce al tempo del vescovo P. (1639-1670), inVescovi e città nell’epoca barocca, a cura di L. Cosi - M. Spedicato, I, Murcia, Santiago de Compostela, Praga, Napoli, Catania, L’Aquila, Lecce, Galatina 1995, pp. 151-229; G. Pisanò, La cultura a Lecce nell’età del P. (1639-1670), ibid., II, Una capitale di periferia: Lecce al tempo del P., Galatina 1995, pp. 95-137; A. Laporta, Per una storia delle accademie leccesi: i “Trasformati” nel Seicento, ibid., pp. 139-163; F. Volpe, La diocesi di Capaccio nell’età moderna, Napoli 2004, p. 49.

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